LEGGENDE


IL CRISTO VELATO
di Sammartino
(Museo della Cappella di Sansevero)



  IL MISTERIOSO COTTAGE DI LAURA
Historic 1799 guest house con cuore pino pavimenti originali, pareti e soffitti, l' Agriturismo di Laura si trova nel cuore del quartiere storico in un piccolo bosco urbano privato. A poca distanza a piedi da River Street, ristoranti, teatri SCAD, musei e negozi, questo spazio unico è un'oasi di tranquillità. Antiquariato Superb, regione originali opere d'arte, Gullah cestini sweetgrass e tappeti orientali grazie a questo autentico edificio d'epoca. Con cucina completa e lavanderia, una spaziosa camera da letto con letto matrimoniale, divano letto e soggiorno con 2 letti singoli, Agriturismo di Laura ha tutto il necessario per il massimo comfort e privacy. Sveglia Iphone doc, sono forniti i DVD di film che hanno usato Savannah come macchie di localizzazione e accesso wifi. Live in history.Over 1000 piedi quadrati di fascino unico, il cottage è stato utilizzato nelle riprese del film di Robert Redford The Conspirator, oltre ad essere una meta preferita dai tour dei fantasmi locali. E 'stato il Tour di case e non troverete un altro spazio simile a Savannah. Se volete sperimentare un autentico senso del luogo con il massimo comfort, Cottage di Laura è per voi.


Alle porte di Praga, la porta dell’Inferno

Un tuffo negli Inferni nel castello di Houska. Siete pronti a immergervi nel mondo del male? Ad avventurarvi nel buio senza sapere che cosa vi aspetta? A incontrare creature mefistofeliche? A un soffio dalla capitale vibrante di vita, un luogo funesto per soli audaci…Se avete abbastanza coraggio (o incoscienza, chi può dirlo?) il vostro tour del mistero in Repubblica Ceca non può prescindere da una tappa ad alta tensione. Il castello di Houska, ad appena un paio di chilometri da Praga, appare austero dall’alto suo sperone. Qui si dice che si nasconda la porta dell’inferno. Secondo svariate leggende, un giorno la parete di roccia si sarebbe aperta con un fragoroso schianto e sarebbero apparsi il Diavolo in persona, scortato dai suoi perfidi demoni. Non esistono ovviamente prove al riguardo ma la suggestione è tale che ancora oggi durante le visite al castello accade che i visitatori provino disagio,  si sentano mancare o siano presi da una sensazione di stordimento.

  IL CORAGGIO DI CLELIA

 

Clelia era una giovane romana che dimostrò il suo coraggio nel periodo in cui Roma era assediata da Porsenna, re degli Etruschi. Gli Etruschi e i Romani avevano stipulato la pace ma Porsenna aveva chiesto nove fanciulle in ostaggio che puntualmente i Romani gli avevano consegnato. Le fanciulle ben presto scapparono dall’accampamento etrusco e si diressero verso il Tevere. Poiché non esisteva più il ponte Sublicio, Clelia, la ragazza che guidava il gruppo delle fuggitive, invitò le ragazze ad attraversare a nuoto il fiume. Tutte si gettarono in acqua senza temere il freddo. Intanto le sentinelle romane le aveva avvistate e, credendo che fossero dei nemici, diede l’allarme, Condotte davanti ai consoli, furono rimandate a Porsenna per rispettare i patti. Porsenna interrogò Clelia che si era fatta avanti per dichiararsi colpevole di aver istigato le altre fanciulle a fuggire; ella rispose con fierezza alle domande affermando anche di non essersi pentita di ciò che aveva fatto e che anzi l’avrebbe di sicuro rifatto. Il re restò ammirato dalla fierezza della ragazza e colpito dalla lealtà dei Romani per cui concesse a Clelia di ritornare a Roma e di portare con sé altre cinque ragazze. La sera stessa sei fanciulle poterono riabbracciare i genitori

  IL NUMERO SETTE
Ricorrente nei Purana, nel Libro dei Morti, nello Zendavesta, nelle tavole Assire, nella Bibbia e nel Popol-Vuh. Pitagora lo chiama "Veicolo di Vita" formato dal Quaternario (l'azione e la materia) più la Trinità (la sapienza).
  • 7 sono gli Dei accostati ai sette saggi del Pantheon Babilonese, sette sono i raggi di Bacco, sette quelli del disco solare sulla testa di Thot.
  • 7 le regioni della terra, sette le razze umane, sette le famiglie di Votan, sette le grotte degli antenati di Nahuals, sette le città di Cibola, 7 le isole Antille, sette gli eroi sfuggiti al Diluvio, sette i Rishi salvati da Vaivasvata, sette i gruppi di bestie raccolte da Noè.
  • 7 i candelieri nelle sette chiese, dove i sette spiriti di Dio erano i sette arcangeli nei sette cieli.
  • 7 i cancelli di Shamballa.
  • 7 volte Ofione si arrotolò intorno all'uovo universale depositato dalla Dea di tutte le cose, Eurinone, creatrice delle
  • 7 potenze planetarie: sole, luna, marte, mercurio, giove, venere, saturno.
  • 7 le corde della lira di Orfeo, il Forminx.
  • 7 i giorni del Dio settenario di Thot Lunus.
  • Settimo mistero dell'iniziazione.
  • 7 sono gli Dèi di Abydos, sette le dee Hator che stabiliscono il destino di ogni neonato.
  • 7 le colonne a S .Maria Trastevere a Roma e 7 le colonne a Lacona,
  • 7 le pagode dei templi Indù.
  • 7 i vasi trovati in Scandinavia, di forma emisferica, rappresentanti il cavallo del Carro di Apollo.
  • 7 gli elementi con i quali sono stati fabbricati gli Archi dei Sioux e degli Algenquins.
  • Antichi viaggiatori arabi parlavano delle Antille, dette "Sabain", nominando l'isola delle sette città.
  • Rama (Shri Ramchandra) sarebbe la 7ma incarnazione terrena di origine celeste del dio Vishnù.
  • 7 sono i giri che il musulmano deve fare, per conquistare il paradiso, intorno alla Kaaba; ove è sigillata la pietra che l'Arcangelo Gabriele inviò ad Abramo e Ismaele quando, sulla base dei disegni dati da Dio, costruirono il Tempio.
  • 7 i giri che gli induisti e buddisti fanno intorno al sacro monte Kailash per purificarsi dai peccati.
  • 7 sono i piani o mondi divisi in sette sottopiani: il piano fisico, astrale, mentale, individuale (dell'intuizione) quello dell'anima, il piano dell'Io cosmico, della volontà, dove risiede il Logos. Infine il piano della divinità.
Si ricollegano fra l'altro ai mondi delle stanze di Dzyan ove si menzionano i cieli esoterici. Una leggenda scandinava dice: "C'è un nume nel mare (...) da questo mare nacquero Snorra e le sue sette isole Vergini (...) io canto le sette isole della felicità che sono sul mare come le sette Stelle che sono nel cielo (...) infine canterò Selia regina delle sette isole dai palazzi incantati e dai mille ponti delicati che si specchiano nelle acque delle lagune solcate dai cigni, con il loro scivolare immacolato. Selia aureola del Sole". Le saghe Scandinave parlano della dimora di Apollo, Dio del Sole, Luce del Nord, raffigurato sopra un carro tirato da Cigni, mettendo in evidenza che si tratta di un Dio Nordico, iperboreo.
          LO SPOT MALEDETTO DELLA KLEENEX

Keiko Matsuzaka nello spottino oggetto della leggenda urbana
Nel 1980, la Kleenex, per pubblicizzare i suoi fazzoletti, mandò in onda tre spot in Giappone, dove compariva una donna vestita con una toga bianca e un bambino vestito come un orco giapponese, entrambi seduti sulla paglia. Ogni annuncio aveva la canzone It's a Fine Day di Jane & Barton in sottofondo. Molti spettatori trovarono lo spot inquietante. Alcuni denunciarono che secondo loro la musica suonava simile a una vecchia canzone folk tedesca, le cui parole contenevano una maledizione, benché il testo della canzone dello spot fosse in inglese. A causa della sua atmosfera inquietante, molte voci cominciarono a circolare sul cast, ad esempio che molti degli attori andarono incontro a una morte prematura a causa di strani incidenti e che la protagonista dello spot, Keiko Matsuzaka, fosse rimasta incinta di un bambino-demone. (Fonte: wikipedia)
 LA LEGGENDA DELL'AUTOSTOPPISTA FANTASMA
La serata non era stata delle più elettrizzanti. Il disk jockey dello Snoopy (In Val Brembana) ce l'aveva messa tutta per tenere alta l'atmosfera, ma la musica, le luci e gli amici non erano riusciti a dargli la solita carica e così Luca, superata da un bel po'la mezzanotte, si era deciso di lasciare la compagnia e tornarsene a casa a smaltire il sonno arretrato, anche perché il pomeriggio del giorno dopo l'attendeva una impegnativa gara di atletica, in vista della quale si era preparato ben bene per tutta la settimana. Vuotò il bicchiere di birra, salutò gli amici e uscì all'aperto, respirando di gusto l'aria fresca e umida della notte. Raggiunse la sua auto dall'aria inequivocabilmente sportiva, mise in moto e uscì dal parcheggio, districandosi non senza difficoltà nella selva di veicoli parcheggiati alla rinfusa. Fu allora che scorse sul margine della strada la figura minuta di una ragazza che col braccio teso chiedeva un passaggio. Doveva essere uscita da poco dalla discoteca, per quanto il suo abbigliamento, una giacchetta bianca attillata e una gonnellina blu a pieghe, lunga fino al ginocchio e di taglio piuttosto antiquato, apparisse poco intonato con la moda degli abituali frequentatori del locale, decisamente sul casual e con tonalità in prevalenza scure e poco appariscenti.
Come era sua abitudine, alla vista dell'autostoppista, Luca bloccò l'automobile, che stridette sulla sabbia del ciglio stradale.
" Vuoi un passaggio?" chiese abbassando il finestrino di destra.
"Mi porti fino a Zogno?", annuì la ragazza con voce incolore, aprendo la portiera e accomodandosi sul sedile.
"Ciao, sono Luca" fece lui, ripartendo di gran carriera.
"Cristina", biascicò la ragazza, sistemandosi i capelli con le mani
"Eri allo Snoopy? Non ti ho notato in tutta la serata".
"Per la verità sono stata seduta in un angolo tutta la serata. Sempre la stessa musica, monotona e assordante. E poi ho dovuto tenere a bada un rompiscatole che mi ha importunata fin dall'inizio".
"Hai ragione, la musica che passa qui non è il massimo. Sempre la solita storia, è per questo che ci vengo di rado. A me piace ben altro".
Così dicendo accese lo stereo e subito l'abitacolo fu inondato dalle note limpide e cristalline dell'ultimo disco di Vasco Rossi.
The ne dici?", chiese il ragazzo alzando un po' il volume e canticchiando il motivo sopra la voce roca del cantautore.
"Mai sentita", rispose la ragazza assorta in chissà quali pensieri.
L'automobile procedeva veloce lungo i tornanti e le strettoie della Val Serina. Erano quasi arrivati nell'orrido di Bracca e i fanali illuminavano le alte e nere pareti strapiombanti sulla strada, conferendo alla roccia un aspetto inquietante.
"Non mi sembra di averti mai vista. Sei di Zogno?" riprese Luca con la vaga intenzione di imbastire con la ragazza una parvenza di dialogo. "Non ti ho mai notata nemmeno a scuola. lo sono stato fino all'anno scorso a Camanghé".
"Anch'io ho frequentato quella scuola per un po', ma adesso manco dalla valle da parecchio tempo", rispose stancamente la ragazza, dando a vedere che non aveva la minima intenzione di continuare la conversazione.
L'automobile uscì dall'orrido e imboccò rombando il rettilineo antistante lo stabilimento della Fonte Bracca.
"Lasciami qui", fece all'improvviso la ragazza, "sono arrivata".
Luca accostò l'auto al marciapiedi e si fermò, ma non poté fare a meno di manifestare la propria sorpresa: in quella zona, a parte lo stabilimento, non c'erano costruzioni, nessuna casa d'abitazione, lui lo sapeva bene, perché ci aveva lavorato, alla Bracca, per un paio di estati, tra un anno scolastico e l'altro.
Nessun altro edificio, salvo il piccolo cimitero di Ambria, quasi soffocato dall'impianto industriale.
"Ma dove abiti? Qui non ci sono case. Non è che ti sei sbagliata?".
"Ciao, buona notte" fece la ragazza per tutta risposta, scendendo dall'auto con un sospiro e accostando stancamente la portiera.
"Ma vai al Diavolo" mormorò tra sé Luca, ripartendo come un razzo e dando volume al suo Clarion che lo ripagò con le superbe note del concerto di Imola di Vasco.
Dovette ripensare a quello strano incontro la mattina del giorno dopo, quando tirò fuori l'auto dal box per andare in paese. Notò infatti che da sotto il sedile laterale sporgevano i manici di una piccola borsetta nera, certamente dimenticata dalla ragazza della sera prima.
Per niente entusiasta della prospettiva di dover consegnare la borsetta alla legittima proprietaria, cercò tra gli oggetti che vi erano contenuti i documenti, li trovò e così poté risalire all'identità e al domicilio della ragazza.
Ma quello che vide sulla carta di identità non mancò di sorprenderlo un'altra volta: Cristina era nata il 10 agosto 1965, aveva quindi trentaquattro anni e questo gli sembrava incomprensibile, dato che all'apparenza la ragazza ne dimostrava a malapena venti.
Con fastidio ripose i documenti nella borsetta, la gettò in malo modo sul sedile della vettura, mise in moto, uscì dal box e partì con la sua solita irruenza, suscitando l'immancabile commento isterico della madre che dal terrazzo aveva osservato i suoi movimenti, ma non aveva avuto il tempo di chiedere spiegazioni e informarsi sul perché di quella improvvisa partenza, né tanto meno di somministrare al figlio le solite, inascoltate, raccomandazioni alla prudenza...
Pochi minuti dopo l'auto si arrestò davanti a una villetta unifamiliare di Ambria, circondata da un bel giardino delimitato da una bassa inferriata. Luca scese dall'auto tenendo in mano la borsetta, si diresse verso il cancello, premette il pulsante del citofono e rimase in attesa.
Dopo un attimo si affacciò alla porta una donna di bassa statura, dalla folta capigliatura brizzolata e dall'aria interrogativa.
"Buongiorno, signora, abita qui Cristina? Ieri sera mi ha chiesto un passaggio e ha dimenticato la borsetta sulla mia macchina, eccola, gliel'ho riportata".
"Arda che me gh'o miga òia de schersà! Va' a cá tò, vilàno, e laga sta la me tusa".
Questa fu la risposta risentita e angosciata della donna che subito rientrò in casa sbattendo la porta. Convinto di essere incappato in una famiglia di matti, ma comunque desideroso di chiudere questa faccenda, Luca premette di nuovo e a lungo il pulsante. Questa volta apparvero sul pianerottolo due uomini, uno magro, sulla sessantina, certamente il marito della donna di prima, e l'altro giovane e robusto, probabilmente il figlio. I due raggiunsero quasi correndo il cancello, l'aprirono e si avvicinarono con fare minaccioso a Luca. "De che banda ègnela chèla bursèta? Famla 'mpó èt a mé!", chiese bruscamente quello che sembrava il padre. Luca, alquanto preoccupato per la piega che stava prendendo quello strano incontro, fece del suo meglio per apparire credibile e raccontò come la sera precedente avesse dato un passaggio a una ragazza di nome Cristina, descrivendone meticolosamente l'aspetto e l'abbigliamento e come costei si fosse poi bruscamente congedata all'altezza del cimitero di Ambria senza dare spiegazioni, infine mostrò la borsetta dimenticata in macchina. Io sono venuto solo per restituire la borsetta e ho dovuto aprirla per trovare l'indirizzo di quella che penso sia vostra figlia, chiedete a lei se non è vero. Ecco, prendete - proseguì porgendo la borsetta all'uomo più anziano - verificate che non manchi niente". "Mi ricordo che aveva una borsetta come questa - singhiozzò la madre che nel frattempo si era avvicinata ai tre ed era rimasta ad ascoltare in silenzio il racconto di Luca - ma non può essere sua, comunque la ragazza non poteva certo essere la mia Cristina". Poi prese la borsetta dalle mani del marito e cominciò a rovistarne affannosamente il contenuto, quindi, trovata la carta d'identità, la apri con le mani tremanti per l'emozione. Impallidì e quasi perse l'equilibrio, poi, appoggiandosi al marito, esclamò con un filo di voce: "Madóna me, l'è pròpe lé... Arda 'n po a' te... Com'el pusìbel se la me Cristina l'è morta quìndes àgn fa?...". E così Luca venne a sapere che la misteriosa ragazza era morta quindici anni prima in un incidente stradale, verificatosi proprio all'uscita dell'orrido di Bracca, mentre stava rincasando in autostop dopo una serata trascorsa nella discoteca Snoopy di Serina. E la sua tomba era nel piccolo cimitero di Ambria davanti al quale aveva chiesto di scendere dall'auto la sera prima.
  I 13 TESCHI DI CRISTALLO
Una presunta profezia Maya recita a grandi linee: “All’inizio della nuova era, quando gli uomini saranno abbastanza evoluti e integri nella loro morale, i 13 Teschi di Cristallo saranno ritrovati e, una volta riuniti, trasmetteranno agli uomini tutta la loro conoscenza”.
La data indicata dalla profezia era il 21 dicembre 2012, che coincide con il termine del calendario a lungo computo del popolo Maya. I teschi ricavati dalla lavorazione del cristallo di quarzo vengono ritrovati nel 19° secolo; ma attraverso esami scientifici, alcuni vengono classificati come FALSI; solo pochi risulteranno essere autentici. Il più famoso ed enigmatico è senza dubbio quello di Mitchell-Hedges:
Teschio di Mitchell-Hedges. Nel 1927, dopo molti anni di ricerche in Belize alla ricerca di prove sull’esistenza di Atlantide, Frederick Mitchell-Hedges trova per merito di sua figlia Anna, il primo teschio di cristallo. È un teschio femminile di circa 5 chili creato con un unico pezzo di quarzo e dalla precisione scioccante. Nel 1970 fu sottoposto a molti test da esperti in cristallografia computerizzata nei laboratori della Hewlett Packard e ne emerse che il teschio era stato scolpito seguendo l’asse principale del cristallo con una tecnica molto avanzata e usata da moderni scultori. Questa tecnica sfrutta l’asse di simmetria su cui sono posizionati gli atomi e abbassa di molto la possibilità di frantumare il cristallo. Emerse inoltre che il cristallo era completamente privo di graffi e scalfitture provocate dagli strumenti con cui doveva essere stato scolpito. Si giunse quindi alla convinzione che la lavorazione fosse stata fatta con punte di diamante e polvere abrasiva di silicio. Usando però questo metodo, secondo tutti gli studi fatti, ci sarebbero voluti circa 300 anni di lavoro 24 ore al giorno. Gli studiosi hanno pensato che questo teschio potesse essere utilizzato durante importanti cerimonie divinatorie per far uscire la voce di un ipotetico Dio (il teschio ha infatti la mandibola mobile). Inoltre i suoi occhi sono dei prismi incastonati e secondo la famosa leggenda pare che scrutandoli si possa predire il futuro. Attualmente, con le tecniche conosciute, non è possibile riprodurre in tempi brevi un teschio avente le stesse caratteristiche di quello in questione (esempio la superficie perfettamente liscia). La medium Carrel Advise alla presenza del teschio di Hedges entrò in trance e disse che questo rappresentava un magazzino di conoscenze programmato da una razza in un passato remoto. Affermò anche cose non molto credibili per la verità, ma contribuì a materializzare l’idea che i teschi possano rappresentare, per alcuni, anche un sistema di informazioni canalizzate per via telepatica, da una civiltà, extraterrestre o no, con l’intenzione di aiutare l’umanità o incrementare il suo livello di conoscenza. Sono moltissime le testimonianze di persone che raccontano di aver avuto visioni o strane esperienze causate dallo stesso teschio. Anche un’altra medium, di nome Carole, è riuscita attraverso una tecnica di canalizzazione ha ottenere informazioni dal teschio. Oltre al Teschio di Mitchell-Hedges sono stati ritenuti autentici, tra quelli analizzati, soltanto altri due teschi di cristallo di rocca: quello detto di “Sha-Na-Ra”.
Teschio di Sha-Na-Ra. Il suo nome è legato a uno sciamano delle popolazioni locali. Fu rinvenuto dal signor Nick Nocerino, investigatore dell'occulto, nel 1959, lungo il Rio Baltha, nel Gerraro del Messico centrale. È notevolmente diverso dagli altri, ma le analisi lo datano attorno ai 5000 anni. Nel 1996, l'attuale proprietario del teschio, il signor Nick Nocerino, si recò a Londra per far esaminare l'oggetto dagli esperti del British Museum, e per un eventuale confronto con quello da loro posseduto. In tale occasione ne vennero esaminati 5 (tra cui anche quello dello Smithsonian Museum, di 20 kg di peso, che avrebbe il potere di attirare i propri simili), e solo 2 risultarono effettivamente opere originali e antiche.
Teschio “Max” o Teschio del Texas. Altro famoso teschio è quello noto come “Max”. Venne scoperto in Guatemala intorno al 1924-1926 (alcuni dicono 1920), probabilmente in una tomba Maya. La leggenda che lo riguarda racconta sia stato regalato da uno sciamano Maya a un lama tibetano per poi passare nelle mani degli attuali proprietari Carl e JoAnn Parks. Curioso è il motivo per cui questo teschio prende il nome di Max. Infatti pare che la signora Parks sia riuscita ad entrare in comunicazione telepatica con il teschio il quale le avrebbe comunicato di chiamarsi così…La datazione lo colloca attorno ai 10000 anni fa.
Teschio di Londra (British Museum). Pervenuto al British Museum di Londra nel 1898, rinvenuto in Messico in quell'epoca, di cristallo di rocca. È molto simile al “Teschio di Mitchell-Hedges”, ma è meno definito di questo. La sua origine molto probabilmente è Azteca, ma le ultime analisi effettuate non confermano la datazione. Su di esso, come su molti altri, si narrano storie inquietanti: a quanto pare ha terrorizzato più di una persona, alla sua sola vista; il personale delle pulizie lo vuole coperto durante il proprio turno di lavoro, perchè reca disagio. Nel 1950, alcune analisi portarono ad affermare che il teschio è messicano, che risale al 1400-1500 d.C. e che il materiale è quarzo brasiliano. Ma dopo nuove ed accurate analisi effettuate recentemente sul teschio di cristallo esposto ne è stata riscontrata la “non autenticità”. Il particolare che ha fatto crollare le certezze sul teschio del British Museum, mettendo gli esperti di fronte ad un falso molto ben realizzato, consiste nel tipo di lavorazione con cui è stato realizzato lo stesso teschio. Analizzando accuratamente la superficie di quest’ultimo si denota che il teschio fu tagliato e levigato con una sorta di ruota molto conosciuta ed utilizzata dalle gioiellerie d’Europa nel XIX secolo, ma assolutamente sconosciuta nell’America pre-colombiana da cui proverrebbe il teschio di cristallo. Gli studiosi che lo hanno minuziosamente analizzato sono quasi sicuri che il cristallo, da cui fu realizzato il teschio, provenga da un tipo di roccia presente in Brasile. Roccia che fu tagliata da un gioielliere ed inviata in Europa, probabilmente in Germania, dove fu successivamente venduta a dei collezionisti spacciandola per reliquia autentica della civiltà Azteca del Messico. Lan Freestone, professore dell’Università di Galles a Cardiff nonché capo della ricerca scientifica al British Museum Londinese, ha dichiarato che sicuramente il teschio non è un autentico oggetto azteco poiché gli autentici cristalli di rocce azteche presentano un grado di levigatezza molto più dolce di quella del teschio che, invece, ha un aspetto più ruvido che può essere ottenuto soltanto con l’utilizzo delle moderne attrezzature. Inoltre si scoprì, dopo un attento lavoro da parte dell’archivista Jane Walsh dello Smithsonian Institution di Washington, che a suo tempo il teschio fu venduto al British Museum dal gioielliere newyorchese Tiffany nel 1897 il quale, a sua volta, lo aveva acquistato precedentemente dal cittadino francese Eugene Boban. Si seppe, inoltre, che nello stesso periodo Boban vendette un teschio simile anche ad un altro collezionista che lo donò successivamente al Musèe de l’Homme di Parigi, dove si trova esposto attualmente. Tutto questo non fa altro che evidenziare sempre più la certezza che il teschio del British Museum sia indubbiamente un falso, anche se di ottima realizzazione.
Teschio di Parigi (Trocadero Museum). Fu il primo a essere scoperto alla fine dell'’800 in Messico. Dalle analisi eseguite si pensa sia stato lavorato con tecniche molto primitive. Ciò nonostante, il risultato è molto realistico. Custodito nel Museo Trocadero, è citato da G.F. Kunts nel suo libro "Gemme e pietre preziose del Nord America"; proporzionato ma di fattura rudimentale, datato all'incirca intorno al XV secolo, attribuito al popolo Azteco come la riproduzione del Dio della Morte. È caratterizzato da un solco sulla fronte, che pare sia stato scavato per apporvi una croce. Teschio Templare. Custodito da una società segreta in Francia, visto da N. Nocerino, in quarzo ialino, con caratteristiche e dimensioni simili al Maya. Teschio San Josè. Scoperto in una tomba in Messico nel IX o X sec, di ametista.
Teschio Maya. Scoperto in Guatemala nel 1912, di quarzo ialino opaco, ha profonde infossature circolari sulle tempie. Teschio Ametista o “Ami” Simile per storia, forme e caratteristiche al Maya, scoperto nel 1915 in un sito di reliquie Maya in Messico, è ricavato da un blocco di ametista. Teschio "Windsong"Acquistato da Floyd Petri in un negozio di cristalli a Austin nel 1993, pare realizzato da un artigiano cieco brasiliano nell'800, sembra avere una entità chiamata Windsong che lavora attraverso di esso, molti hanno avuto esperienze particolari in sua presenza. Teschio Las Vegas 1Ritrovato col Las Vegas 2 in una città maya nel 1942 da un messicano, leggermente più piccoli di un teschio umano, di ialino, con fronte trasparente, retro opaco, l'unico finora ritrovato che riporta incisioni di simboli Maya.
Teschio Las Vegas 2. Ritrovato col Las Vegas 1, simile, ma di ametista e senza incisioni.
Teschio Smithsonian. Conservato presso il museo a Washington, dal peso di circa 20 kg., alto e largo 13 cm e lungo 18. Dalle analisi effettuate su di esso non sembrerebbe autentico.
Teschio Quarzo Rosa. Custodito da una tribù tra Guatemala e Hunduras. Rinvenuto ai confini del Guatemala, è quello più simile al Mitchell-Hedges, pur realizzato in blocco di quarzo rosa poco limpido e con dimensioni leggermente maggiori, presenta lo stesso elevatissimo livello di manifattura, e la stessa mandibola rimovibile.
Teschio "ET". Scoperto nel 1912 in Belize, in quarzo affumicato, ha la stessa dimensione del Mitchell-Hedges e la forma della mandibola appuntita. ll suo nome deriva dalla sua conformazione: cranio a punta e mascella esagerata ricordano il teschio di un alieno.
Teschio Perù 1. Il governo del Perù si dichiara in possesso di un teschio di quarzo ialino con mandibola mobile, ma non vi è conferma.
Teschio Perù-Blu. Si tratta di un teschio di quarzo, pare in possesso di una tribù del nord del Perù, con un colorazione blu sulla sommità del capo e negli occhi, pare simile a ET, con mandibola appuntita.
Teschio "The Presence". Ritrovato in Perù, comparato da un archeologo a Sedona (Arizona), attualmente nelle mani di Arsenia Pitts dall'ottobre 1993, di quarzo ialino. .
Teschio Rainbow o teschio arcobaleno. Ritrovato con Sha-Na-Ra, è di proprietà di DaEl Walker, di quarzo ialino, pesa circa 4 kg, è così chiamato perché l'arcobaleno di colori pare danzare nel teschio quando esposto alla luce naturale.(dal blog Kuzcotopia)
 L’ULTIMA NOTTE DEL PRINCIPE DI SANSEVERO
Copertina libro
Raimondo de Sangro nel quadro del m° Armando Jossa

Le ultime ore di Raimondo De Sangro che voleva vivere
 due volte. Il mistero della sua morte, e la leggenda, in un’ipotesi inquietante e sconcertante allo stesso tempo
 E’ la notte del 22 marzo 1771, la notte in cui il più grande studioso, filosofo e alchimista di Napoli morrà. Raimondo de Sangro, il Principe di Sansevero, è chino sul suo tavolo da lavoro, ingombro, fra alambicchi, ampolle ed un calice. Alle sue spalle, un’ombra, il profilo di Giuseppe Sanmartino, l’uomo che scolpì il Cristo Velato. E’ la notte del 22 marzo 1771, la notte delle rivelazioni, dei segreti. Il Principe di Sansevero e Giuseppe Sanmartino si conobbero ad una festa di corte, alla fine del 1752. Quando il Principe lo incontrò per la prima volta, lo scultore era pressoché sconosciuto. Secondo quanto riporta uno dei suoi maggiori biografi, Elio Catello, il Sanmartino, fino a quel momento, aveva realizzato una sola commessa per la città di Monopoli. L’incontro con Raimondo de Sangro segna dunque una svolta nella vita del giovane.Naturalmente sono ancora oscuri i motivi per i quali il Principe decide di affidare il Cristo Velato ad un artista così sconosciuto. All’opera, o meglio al progetto dell’opera, aveva lavorato il Corradini e tutta la “scuola” di scultori che ruotava intorno alla cappella e al Principe. Con un colpo a sorpresa, però, don Raimondo decise di affidare il lavoro proprio a Sanmartino, che nel 1753 aveva solo trentatrè anni.E’ storicamente accertato anche il documento notarile con il quale Sansevero “incastra” Sanmartino. Nulla, invece, si conosce riguardo al motivo per cui lo scultore decise di abbandonare il Principe subito dopo la realizzazione del Cristo Velato. Solo alcune leggende indicano una serie d'incontri misteriosi tra i due uomini. Raimondo de Sangro, Principe di Sansevero morì il 22 marzo 1771, di morte naturale. La leggenda della morte e della risurrezione è citata in diverse versioni dai maggiori scrittori dell’Ottocento. Una delle versioni vuole che il Principe affascinato dall’alchimia, si fosse convito di aver trovato il modo di diventare immortale grazie ad alcuni elisir dalla ricetta segreta.La pozione provata su se stesso, con l’aiuto di un misterioso servitore, lo avrebbe inesorabilmente ucciso. Sanmartino, invece, morì nel 1793 e la leggenda vuole che lo scultore fu prima accecato (proprio dal Sansevero), poi ucciso in circostanze misteriose.Il documento che, invece, attesta la sua morte “naturale” è conservato nel libro dei defunti della Parrocchia di Santa Maria dell’ avvocata a Napoli. ("Il ritorno del principe di Sansevero" - di A.Ghedina - edizioni Gallina)
   IL CRISTO VELATO DI SAMMARTINO
(Cappella Sansevero a Napoli)
La fama di alchimista e audace sperimentatore di Raimondo di Sangro ha fatto fiorire sul suo conto numerose leggende. Una di queste riguarda proprio il velo del Cristo di Sanmartino: da oltre duecentocinquant’anni, infatti, viaggiatori, turisti e perfino alcuni studiosi, increduli dinanzi alla trasparenza del sudario, lo hanno erroneamente ritenuto frutto di un processo alchemico di “marmorizzazione” compiuto dal principe di Sansevero.In realtà, il Cristo velato è un’opera interamente in marmo, ricavata da un unico blocco di pietra, come si può constatare da un’osservazione scrupolosa e come attestano vari documenti coevi alla realizzazione della statua. Ricordiamo tra questi un documento conservato presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, che riporta un acconto di cinquanta ducati a favore di Giuseppe Sanmartino firmato da Raimondo di Sangro (il costo complessivo della statua ammonterà alla ragguardevole somma di cinquecento ducati). Nel documento, datato 16 dicembre 1752, il principe scrive esplicitamente: “E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo…”. Anche nelle lettere spedite al fisico Jean-Antoine Nollet e all’accademico della Crusca Giovanni Giraldi, il principe descrive il sudario trasparente come “realizzato dallo stesso blocco della statua”. Lo stesso Giangiuseppe Origlia, il principale biografo settecentesco del di Sangro, specifica che il Cristo è “tutto ricoverto d’un lenzuolo di velo trasparente dello stesso marmo”. Il Cristo velato è, dunque, una perla dell’arte barocca che dobbiamo esclusivamente all’ispiratissimo scalpello di Sanmartino e alla fiducia accordatagli dal suo committente. Il fatto che l’opera sia stata realizzata da un unico blocco di marmo, senza l’aiuto di alcuna escogitazione alchemica, conferisce alla statua un fascino ancora maggiore. La leggenda del velo, però, è dura a morire. L’alone di mistero che avvolge il principe di Sansevero e la “liquida” trasparenza del sudario continuano ad alimentarla. D’altra parte, era nelle intenzioni del di Sangro – in questa come in altre occasioni – suscitare meraviglia: non a caso fu egli stesso a constatare che quel velo marmoreo era tanto impalpabile e “fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori” (http://www.museosansevero.it)

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